È periodo Champions e come tutti gli appassionati di calcio seguo le vicende finali delle competizioni europee a prescindere dalla mia Roma. Amo il bello cioè l’armonia e mirare il City di Guardiola che come un meraviglioso organismo, muovendosi l’unisono prende a pallonate i miliardi asincronatici miliardari campioni degli sceicchi – anche se proprio con i medesimi miliardi ha avuto quella opportunità – mi acquieta. Mi piace credere che ciò sia l’ennesima prova dell’esistenza di questo spirito popolaromantico che soffia forte tra gli attici a ricordar che finché ci sarà qualcuno con più fame e fantasia di te non starai mai al sicuro, seppur circondato dalle calde e ovattate banconote. Evito di credere che sia semplicemente un inconscia passione per ciò che appunto è armonico, l’ennesimo atto di fede. Detto ciò arriviamo al dunque prima di dissanguare il testo: le pubblicità annesse alle partite son forse il meglio.
Ho studiato comunicazione e adoro cercare di decifrare questi “capricci” comunicativi. Se chiudo gli occhi vedo le riunioni 3.0 dove i nuovi manager, gli squali gentili ed ecosostenibili, con il casco e la 24 ore alla fine giungano sempre alla medesima richiesta: aumentare le vendite. Però lo fanno in chiave pirata del solchiamo verso nuovi orizzonti. E i loro sudditi a schiacciare bottoni e muovere topi per soddisfarlo.
In particolar modo mi divertono quelle réclame, direbbe mio nonno, che si rivolgono ad un target teoricamente contro tendenza, i cosiddetti outsiders. La regina indiscussa in questo campo è la Apple la quale ha il gregge di stay hungry stay foolish che gli riempie gli store ma non nascondo che mi tolgo spesso il cappello di fronte alla loro comunicazione, non me ne vogliano gli anarchici. C’è armonia. Soprattutto nel target.
Ora però la situazione sta sfuggendo di mano. In particolare mi rivolgo ad una di queste trappole per outsiders. Onde evitare ire funeste di esperti al soldo del superfluo mi limiterò ad una sciatta traduzione della canzone che fa da sfondo ad un’altrettanta deprimente scena, anche perché ci han messo pure i sottotitoli quindi fa chiaramente parte del messaggio. Recita più o meno così:
“Non abbiamo bisogno di molto per vivere. Non abbiamo bisogno di condividere storie, creare opere d’arte, legami. Non abbiamo bisogno di sognare lo spazio aperto e aprire le nostre menti. Non abbiamo bisogno di amore, di fare musica…” La pubblicità teoricamente prosegue – ma si sa che il costo al secondo di uno spot in prima serata durante una semifinale di Champions sia un tantino impegnativo, immagino 15 minuti di flash pubblicitari tra un tempo e l’altro nella, pace all’anima sua, Superlega – “… perché il sole splende ancora. Anche se ci manca il sorgere del sole, l’acqua del mare brucia ancora, brucia nella profondità dei nostri occhi. Le montagne non hanno bisogno di essere scalate. Non dobbiamo infrangere le regole. Non abbiamo bisogno di imparare a volare o rompere il ghiaccio per vincere questo premio. Non abbiamo bisogno di comprare quei fiori, nuotare nel mare, sprecare quelle ore. No, non hai bisogno di guidare, non ne hai bisogno per vivere, ma solo per sentire che sei vivo.”
Lascio a voi le implicazioni io mi limito a riportarvi quello che ho pensato la prima volta che l’ho vista:
“È una rana, pensai, ecco cos’è” *
*(pag 13, Chinaski. Factotum, Bukowsky) **
** il libro si apre con una citazione di André Gilde che rileggendola mentre cercavo il pezzo citato mi ha fatto riflettere, soprattutto dopo aver giocato a Talos, the principle (quando lo finisco ne parliamo)
” Al narratore non interessa che il leone mangi l’erba. Egli sa che fu un unico Dio a creare il lupo e l’agnello e poi a sorridere vedendo che questo era buono 😋”.